Fin da piccola amavo esprimermi attraverso il gesto pittorico, anche sui muri di casa.

Da allora, maturando attraverso percorsi formativi, ho coltivato questa passione che è parte piena della mia persona.

Terminato il Liceo Artistico, continuo gli studi presso l'Accademia di Belle Arti e al Centro Internazionale della Grafica, sempre a Venezia. Frequento gli studi di molti artisti e prendo parte anche a performance de La Biennale di Venezia. Nel Luglio 2011 parto con l'Assoartisti per un viaggio artistico ad Hangzhou in Cina e realizzo alcune opere, ora di proprietà del governo cinese. Con il patrocinio del Senato della Repubblica Italiana, partecipo alla mostra itinerante "La Cina che non conosci" per sviluppare e portare avanti questo dialogo e l'importanza di arte e cultura come strumento di dialogo tra i popoli.

Il territorio di ricerca che più mi affascina è quello della figura umana al centro della mia pittura fin dagli esordi. Corpi, volti, gesti intesi come espressioni della vita quotidiana fatta di lavoro e sentimenti, stati d'animo, emozioni, passioni tradotte in corpose e mobili pennellate che sfuggono ai confini del figurativo per sciogliersi alla gestualità del colore.

Dicono di me...

L’eco del viaggio è intenso e attraversa in vari modi la festosa mostra Xe Carneval che Claudia Corò ha allestito nell’atrio dell’Hotel Hilton. E si tratta di una presenza forte che si sviluppa su più piani detti e scanditi secondo quell’andare del viaggio che non si limita solo agli itinerari o alle immagini per alimentare la memoria e il rito delle sue celebrazioni, ma vuole entrare nell’andare stesso, più attento allo scorrere del tempo e al suo ritmo.

Il viaggio diventa così una dimensione dell’anima che cerca se stessa nelle corrispondenze e può anche compiere il salto qualitativo per prendere corpo nella narrazione.

La quale si sviluppa su un piano che dà un volto al percorso, racconta della sosta e degli sguardi, della voracità dell’occhio che cerca i dettagli per farli suoi, segue il profilo degli oggetti e delle figure che abitano la giornata e la vive nel suo farsi. E diventa cadenza e tempo che riversa nelle figure, nei corpi. Il ritmo del viaggio è tutto quello che non è scritto nel suo programma, è la parola incontrata lungo il percorso, è l’orma e il segno.

 

Se desideri andare ad Itaca, suggerisce il grande Kavafis, “devi augurarti che la strada sia lunga”, ed è necessario che il cammino si affidi all’indugiare e perciò “non affrettare il viaggio” e fai “che duri a lungo, per anni…”.

 

Sembra che Claudia Corò abbia ascoltato il poeta greco appunto sostando sulle immagini che propone con ricchezza di dettagli e di segni che rendono le sue opere gioiose e vitali, adeguate alla festosità gaudiosa del carnevale e allo stesso gioco che è sua parte consustanziale.

 

In questo contesto le maschere finiscono per avere non tanto il compito di nascondere, ma di rivelare il senso del viaggio nel carnevale/viaggio che prende forma con il labbro voglioso e invitante, la trina che si apre al seno generoso, con i capelli vaporosi e tutta una corporeità che si rivela nel dettaglio, nel viaggio che si ama nella sosta e nel guardare, in un andare che detta i tempi e viene scandito dalla varietà e dal segno. E tutto ciò mostra la vera ragione del viaggio che fa dell’incontro il punto cruciale e con tale convinzione l’Artista detta il ritmo ad un andare che ha una ragione nel suo farsi.

 

Le trentanove xilografie esposte riescono così a suggerire una a una che nascono dalla sosta che è poi il giusto modo per avvicinarsi ad una festa come il carnevale che, per essere usanza e rito, potrebbe anche essere un evento scontato se posto in una logica dove il percorso ha una ragione nell’arrivo, quale che sia. Ogni opera che adorna le pareti dell’albergo è come un invito cordiale ad entrare nel carnevale, nel mondo della maschera. Ed è proprio in questo modo che diventa un viaggio giacché la maschera nasconde e rivela, ha la forza di un invito a guardare.

 

Il viaggio di Xe Carneval ha anche il volto della narrazione immaginifica che riporta al tempo e specialmente a quello di Venezia in quanto luogo del carnevale che le appartiene.

 

E così il viaggio nel carnevale si arricchisce della sua valenza temporale, con altri segni e simboli che riportano alla storia di Venezia e al suo senso. Sono le stesse maschere, difatti, a portare il viaggio tra le colonne del leone alato e di san Teodoro che fanno da cornice alla piazzetta, ad andare sul mare dove mostrano il loro profilo orgoglioso i velieri; essi seguono itinerari antichi scanditi a loro volta dalle mappe, altro segno forte del viaggio di cui, in un certo senso, sono una maschera nella sua valenza di rivelazione e desiderio.

 

Il viaggio che Claudia Corò narra in queste trentanove immagini non può nascondere la ricerca di una qualche sicurezza che non riesce però a realizzarsi pienamente nella sosta, nell’atto di scavare nella cosa, di dirla nei suoi dettagli per renderla più familiare e diventare essa stessa una sua parte. Del viaggio, resta difatti latente la trasgressione, quell’elemento che viene dallo stesso andare che conquista e porta a concedersi alle sue regole.

 

Le opere in mostra rivelano una femminilità delicata che detta grazia allo stile e buona cadenza alla scansione. Sono ricorsi adeguati capaci di associare lo spazio e il tempo nella modalità formale che caratterizza la buona proposta artistica. E costituiscono un valido viatico per una buona qualità del viaggio di Claudia nella pittura.

Franco Avicolli; Spazio Micromega, Febbraio 2020

In una celebre intervista di David Sylvester a Francis Bacon, il Maestro rispose alla domanda sulla differenza tra forma illustrativa e non illustrativa dell'arte con queste parole: ''Ecco, io penso che

la differenza consista in questo: la forma illustrativa rivela immediatamente il suo significato tramite l'intelletto, mentre la forma non illustrativa passa prima per la sensazione e solo dopo, lentamente, riporta alla realtà. Perché sia così, non lo so ...''.

 

Onestamente non lo so neppure io, comunque questo modo di arrivare alla forma mi sembra addirittura più vicino alla realtà, anche se in maniera intrinseca. Claudia in gran parte della sua produzione, da me conosciuta, esprime una raffigurazione che, in maniera immediata, costantemente mi ha riportato alla memoria la frase di Bacon.

Gregorio Rossi; Storico dell'arte, Settembre 2019

Ciò che colpisce negli ultimi lavori pittorici di Claudia Corò è l’intensa drammaticità che traspare da queste figure di uomini e donne senza volto, così espressive nella loro struggente inespressività da lasciar intuire ataviche sofferenze.

Figure che si muovono in uno spazio senza tempo, senza apparente dimora, quasi alla ricerca di un luogo che è un essere in ogni dove come in una improbabile stratosfera, nella struttura primigenia del mondo per confrontarsi unicamente con il cosmo. Sono la rappresentazione di una umanità dispersa, naufraga e alla ricerca di un approdo, di un’origine, figure anche seriali e spoglie di ogni avere ma forti nell'essere cercatrici di un nuovo mondo che in un clima surreale si muovono erranti all'interno di vecchie mappe nautiche di un tempo che fu.

 

I toni delle opere realizzate, dove predominano i caldi pastello che ben si adattano alla tecnica mista usata dall'artista (acrilici e pastelli a olio), quando sono celestiali, azzurri, di un pallido grigio/azzurro che si confonde tra la parte alta della crosta terrestre, il cielo e il mare, ammantano i personaggi che diventano ancor più irriconoscibili e privi di identità per navigare imperterriti tra cielo e mare.

 

Senza più confini, quindi, stipati all'interno di angusti spazi cartografici, ma intrepidi nel rivendicare senza colpe la loro presenza, malgrado privi di una bussola, disorientati e alla perenne ricerca di una riva, dove la riva diventa approdo di pace, sicurezza, mancanza di paure, un tetto nel quale ripararsi dai drammi continui dell'esistenza. In uno dei più recenti dipinti, e mi riferisco alla grande opera Mappa celeste del solstizio d'estate del 2018, i corpi sono sempre più aggrovigliati, privati di un pur minimo spazio vitale, quasi un corpo a corpo per la sopravvivenza, e dunque i rimandi diventano più espliciti, ci fanno ricordare quanto difficile ancora oggi sia lottare per salvarsi, raggiungere la riva di una nuova terra.

 

Di converso a tratti si evince nei dipinti di Claudia Corò un’atmosfera più serena e luminosa, quasi a significare che l'approdo è vicino, che la riva è stata raggiunta, e allora i corpi si animano, forse danzano, e sembrano vivere la spensieratezza di molte bagnanti di Cézanne, in un clima festoso e con l'energia della joie de vivre.

 

Auguro all'artista un caldo consenso di pubblico e alla donna la sagacia per un incessante approfondimento della propria opera, sì da espandere i coinvolgenti quesiti in essa riposti.

Giorgio Russi; Galleria dell'Artistico, Treviso

In una giornata di inizio giugno, mentre la luce del sole dalla grande vetrata a piombo di un palazzo veneziano che si affaccia sul canale illumina magicamente un tavolo ovale in noce, una figura femminile si avvicina. Scosta lentamente una delle sei sedie attorno a quel tavolo e vi si siede.

Il suo viso è dolcemente illuminato da quella morbida luce e i suoi occhi verde scuro guardano un album da disegno appoggiato sul tavolo, chiuso con un nastro annodato ad asola.A fianco , alcune scatole di pastelli colorati, di matite, di acquerelli.Un sorriso illumina quel viso di ragazza , rivelando la sua felicità nell’affrontare la sfida che quel volume, chiuso nel suo nastro, rappresenta. Le mani sollevano dal tavolo quell’album. La mano destra tira l’estremità del nastro e il nodo si scioglie. Indice e pollice della mano sinistra afferrano la copertina rigida e sfogliano le pagine di quel libro, mentre lei osserva i lavori che altri artisti hanno lasciato su quei fogli, fino a raggiungere le prime due facciate bianche.

 

Appoggiato l’album sul tavolo, la mano sinistra esegue una pressione sulla linea della rilegatura, tra le due pagine. La mano destra prende una matita. Lei è Claudia Corò, un’artista veneziana che, dopo aver frequentato Liceo Artistico, Accademia di Belle Arti e Centro Internazionale della Grafica, ha iniziato il suo viaggio nell’Arte. Vedere un artista che traccia i primi segni di grafite, su di una superficie bianca, è sempre una bella suggestione. E’ l’emozione di quel momento in cui i pensieri si fanno realtà, le idee prendono forma e la capacità artistica, frutto di anni di esperienze tecniche e soprattutto emotive, ha il suo momento creativo. La carta rimane impressa da quei segni che scorrono tracciando percorsi sicuri, come di fiumi, di strade, di profili. Sta disegnando la figura di un pescatore, una barca, il mare e un sole al tramonto. Con sapienti gesti calibrati esalta le forme principali, poi i contorni, le sfumature, i dettagli. Ogni artista è qualcosa di unico nel suo lavoro e Claudia Corò fa dei suoi disegni delle mappe dell’anima, degli itinerari dei sentimenti, delle topografiche piante delle emozioni. Direi che si tratta di viaggi della memoria; e la sua è una memoria d’acqua di mare e di laguna, di pescatori e reti, di gondole e squeri. Lei lo sostiene: “Il viaggio è sempre stato compagno della mia espressione artistica. Il viaggio mi ha portato ad esporre in luoghi e posti molto diversi da Venezia (è appena tornata da Los Angeles, dove ha presentato le sue opere), ma la mia pittura è comunque parte di questa città, inseparabilmente legata allo scorrere delle maree, alla intricata grafia dei questi canali, al colore di questo mare e alla luce particolare di queste atmosfere”.

 

E lo si percepisce subito entrando nel suo studio, in fondamenta della Giudecca, o visitando una sua mostra: quei canali, quell’acqua di laguna, quei ritmi e quelle situazioni sono parte stessa della sua pittura, annodata indissolubilmente a Venezia e all’idea del viaggio; non a caso anche il supporto sul quale spesso lavora sono mappe nautiche. Certo il viaggio di Claudia Corò è un viaggio dentro e fuori i propri sentimenti, le proprie passioni, i propri amori. Spinta da quella pulsione che metaforicamente è la propulsione del remo nell’acqua per far procedere una mascareta sulla superficie lagunare, la pittura di Corò è espressione di un gesto libero che, sia pure affidato ad una gestualità emotiva, sa portare a compimento con estrema competenza. E analogamente al marinaio che, con gesti esperti, sa assicurare la propria imbarcazione all’insenatura di un porto, anche lei conosce la sapiente arte della misura, dosando colori e grigia matita, in una sorta di “espressionismo geografico” in cui il segno è percorso, è tracciato, è canale, strada o semplice pretesto per esaltare, esasperandolo, il lato emotivo della realtà rispetto a quello percepibile oggettivamente. Un navigatore emozionale, una remata delle suggestioni dei sentimenti, una bussola delle vibrazioni del cuore e della luce. Mentre disegna su quell’album, Claudia sta vivendo l’entusiasmo del suo disegno e, osservandola attentamente, pare che quella matita colorata sia veramente un remo e il fruscio sull’acqua sia reale, così come percepibile sembra il profumo delle alghe o la brezza del vento di scirocco sul viso.

 

Ma ecco che la mano interrompe il suo percorso segnico su quell’album. L’artista guarda soddisfatta il suo lavoro, ripone le matite e allontana da sé quel disegno, per vederlo ad una diversa distanza. Fuori da quel palazzo, i ritmi lagunari scorrono lentamente, e il sole, attraverso la grande vetrata a piombo illumina ancora splendidamente il tavolo in noce dove un album è aperto su di un bel disegno.

 

Un disegno di Claudia Corò.

Roberto Zamberlan; Fondazione Bevilacqua La Masa

Nell’ultima produzione della veneziana Claudia Corò, attiva in città dal 2005, è il supporto cartaceo a suggerire all’artista la forma che assumerà l’opera: le tracce impresse dal tempo, i segni testimoni dell’uso sono reinterpretati come lacerti di muscoli e di ossa, come frammenti di nocche, tendini, unghie.

Tessere di un mosaico che l’artista compone a formare delle visioni finalmente comprensibili anche ai nostri occhi, tramutando gli indizi in gesti apparentemente pratici, che diventano nella sua opera emblemi di altro, significanti di ulteriori significati. Evocativi ma non univocamente interpretabili, questi movimenti di mani che lavorano, che costruiscono, che distruggono sono pietrificati, fermi nel tempo.

 

Sospesi nella stessa irrealtà di una carta geografica che si vuole rappresentazione del mondo ma che, data la precarietà di confini e Stati, ne è solo una transitoria interpretazione. Le dita e le nocche, i palmi e i dorsi sono delineati in modo selettivo e sicuro, attraverso un tratto spesso; la loro tridimensionalità è resa con un tratteggio marcato, oppure con una posizione in prospettiva. Altre volte le mani sono più accennate, quasi trasparenti, e lo scenario geografico riveste una importanza maggiore nella composizione. Il supporto scelto dall’artista tiene traccia di tutti i successivi passaggi d’esecuzione dell’opera, disegnata direttamente e senza uno studio preparatorio.

 

A prima vista i gesti disegnati da Claudia Corò sembrano tutti elementi stabilizzati di un lessico condiviso da ognuno di noi: indicativi come nella mappa dell’America Latina oppure emblematici come in quella di Sicilia e Sardegna. Eppure ce ne sono altri che, pur sembrandoci famigliari e legati alla vita quotidiana, assumono una pluralità di significati, come le mani adunche che sembrano protendersi sulla Puglia ma che possono anche (e meglio) rievocare i campi e il difficile lavoro di raccogliere a mano frutta e verdura nel Sud d’Italia. Mani illuminate da un sole intenso diverso dalla luce zenitale diffusa sulla carta geografica: perché la dimensione reale della nostra vita e dei luoghi che abitiamo è sempre diversa e più complessa delle rappresentazioni concettuali che ne facciamo.

 

Tributo alla sede della mostra, il Gran Teatro La Fenice, a cui l’artista è molto legata, i gesti che assomigliano ai movimenti che creano la musica; e l’allestimento stesso della mostra, che vede lo spettatore al centro come direttore di una immaginaria orchestra.

 

Le carte geografiche sono apparse nella produzione di Claudia Corò da un paio di anni, dapprima in relazione al tema delle migrazioni e successivamente come tributo alla tradizione di viaggi ed esplorazioni della sua città natia, Venezia: strumenti indispensabili per viaggiatori ed esploratori che nel corso delle proprie missioni sentono il bisogno di poter affermare: ”Io sono qui”. Esattamente la stessa esigenza sentita dall’artista: poter affermare di essere qui, nel mondo, adesso, attraverso un segno da lasciare nel mondo. O, come in questa sua produzione, sul mondo.

Luisa Flora, Officina delle Zattere

Nata a Venezia, il piccolo folletto dell’Arte tutta laguna e colori, Claudia Corò ha fatto della pittura lo strumento per esprimersi al meglio mischiando i colori con essenzialità e sicurezza, senza tentare di imitare qualcosa o qualcuno, senza rincorrere il tempo perduto.

Lei il mio folletto iconoclasta preferito. Una pittura di gesto dall’immediato impatto visivo, un’impressionista astratta tra magia e sensualità, musica e colore. Vorrei essere lei e vagabondare tra orti e canali in questo territorio di confine, tra memoria e presente, comprendere l’ancestrale legame dei popoli con i mari, i fiumi e le loro sorgenti.

Artouverture, Carlo Francesco Galli

Non un’analisi tecnica e razionale ma un percorso individuale nel labirinto dell’invisibile: slegarsi dalla comprensione per arrivare alla consapevolezza di essere un tutto con il Cosmo.

L’artista coglie frammenti quotidiani già demoliti dal tempo e li valorizza dandogli una nuova vita. I suoi pagioli, pezzi della pavimentazione in legno delle imbarcazioni, vengono trasfigurati facendo apparire immagini che rimandano all’iconografia classica. La ricerca del Bello ideale esplode, costellata da una moltitudine di punti di vista tra loro eterogenei.

L’artista non imita la natura ma ne fa parte e in questa “demolizione rigenerante”, in questo naturale vuoto, lo spettatore deve capire che la ricerca dell’unità non è fisica ma spirituale.

Un mondo caotico ma dominato nel suo profondo da semplici regole e da usanze millenarie, la difficoltà di programmare il proprio futuro che trova risposte valide nei gesti semplici e quotidiani. Il tutto a volte con non completa consapevolezza. Ed è così che l’arte espressa sotto forma di pittura si fonde alla vita quotidiana dell’artista dando vita a scatti di vita reali sia del mondo esterno reale, sia di come il mondo è nella mente e nel cuore dell’artista. Ecco che, ne escono opere moderne, ispirate con assoluta naturalezza e senza forzature, all’arte passata in particolare a quella del ‘700 Veneziano.

Flodiana Sinanaj

La giovane Artista veneziana sa trasformare l’ansia innovativa in purezze pittoriche che denotano l’appartenenza alla tipicità della scuola veneziana.

Lo confermano le vedute declinate su tavole di legno di recupero, quasi a significare l’indissolubile appartenenza della pittura ad una realtà lagunare ancora viva. I nudi muliebri e accovacciati, schizzati senza rimorso ci danno la misura della sua tecnica.

Giorgio Pilla

Corpi mutevoli si diramano in uno spazio sospeso, trovando la loro sostenibilità elettiva nelle opere di Claudia Corò.

Profonde riflessioni sul segno, sul tratto, sulla materia, ci parlano d’idealità arcaiche rivelatrici di sublimi affinità ideative con la pura essenza dell'essere.

 

Ispirata dalla tradizione classica, Claudia, ha saputo creare inedite ed innovative forme plastiche, sperimentando diverse tecniche esecutive, senza abbandonare la compostezza antica, l’arcaica tensione. Le divinità greche sono muse ispiratrici dell’artista, rappresentate nelle accademiche posture tramite filamenti aggrovigliati di texture, raffinati intrecci segnici, magmatiche e volumetriche tonalità. Eroi del mito, dee della mitologia, assumono identità contemporanee diventando paradigmi di sensualità, enigmi percettivi e mutevoli dell’io. Infinite e sottese, linee forza, dalla morbida sinuosità, generano eleganti forme dalla ricercata ritmicità, fluendo, nel vuoto cosmico del substrato, tramite una sintetica vocazione alla essenzialità. Effimeri bagliori di irrevocabili attimi accendono le composizioni con graffi di luce con i quali Claudia dona ai volumi una nuova vita, creando una trasposizione tra presenza e assenza, indefinitezza e vissuto.

 

I “Corpi” di Claudia Corò appaiono come silenti artifici di un eden indefinito, frammenti esplosi di irrevocabili solitudini, sospesi in un nulla percettivo, dove la luce è virata dalla forma verso un’affascinate destino. Il tratto dei volti, volutamente accennati, dona alle figure una classica riservatezza che trasfigura le forme in una personale informalità astratta. I supporti lignei accentuano questo tangibile dissolvimento delle forme in tratti volutamente semplificati, immedesimandosi con le occasionalità di ritrovamento ed utilizzo dei “legni di laguna”, un tempo natanti ed ora, neo oggetti d’arte, sui quali crescono i fiorellini viola pallido o le belle forme disegnate da Claudia.

Prof. Gianluigi Guarneri

Claudia Corò, pittrice dell'anima. I corpi si muovono guidati dalla luce interiore che si chiama anima.

Claudia nei suoi quadri cerca di trovare questo riflesso nascosto, ma sempre presente. Sia un torso, un viso, una veduta di Venezia, sempre c’è questa eco profonda, qualcosa di più di quello che vedono gli occhi. Mi sono chiesto se Claudia non abbia il Terzo Occhio, che nella tradizione tibetana appartiene agli illuminati. Ma non credo sia così. L’estrema saggezza si trova nell’estrema semplicità, a volte, e le proposte di questa artista sono tutto fuorché pretenziose. Pensiamo ai “pagiòi” (tavole di legno che coprono il fondo delle barche veneziane). Sono pezzi di legno calpestati un milione di volte da un milione di piedi. La cosa più umile che uno possa immaginare. Eppure Claudia li dipinge con grande amore, li abbraccia, li rende presenti, vivi. Dà loro il valore che hanno, che non si può calcolare in denaro, ma in tempo speso per vivere. Il tempo dei pescatori, della gente che voga e che non ha bisogno del motore per muoversi. Il tempo del legno vecchio, del legno bruciato dal tempo, dai piedi nudi. Gli occhi chiari di Claudia si guardano attorno come quelli di un gatto, fotografano quello che c’è da capire e poi si chiudono, per dormire, forse. Forse per sognare.

Limbranauta

Il titolo "Percorsi" è già una chiara indicazione di lettura. Vi è un prevalente percorso di ricerca e maturazione dai grandi nudi abbozzati ed accademici alle vedute più recenti di Venezia e soprattutto della Giudecca.

L'artista si interroga con tecniche diverse che comprendono anche le foto analogiche, sulla realtà che la circonda, che ama, che conosce e sperimenta quotidianamente, memore forse del detto cinese "Vivi nel bambù fino a dimenticare il bambù se vuoi dipingere il bambù". la forza di questa pittrice ,mai paga dei risultati raggiunti, sta nella sua volontà di reiventarsi lo spazio e la realtà che la circonda ora con tratti più veloci a rendere fugaci impressioni, ora in modo più definito e preciso. Soltanto lo spazio vissuto, la realtà conosciuta possono darci la misura di noi stessi e del nostro esistere.

Maria Luisa Pavanini

Affettuosamente, potremo definire Claudia Corò l’artista in mascareta (o, se preferite, in sandolo…):

questo perché tra pittura e barche è cresciuta, sviluppando e mettendo in moto la sua debordante creatività, la fisicità e la passione per la sua città ed in particolare per la sua isola o, meglio, quell’insieme di otto isole che compongono la Giudecca, ex “terra di fame e sfruttamento” (come ebbe a scrivere il cantautore veneziano Alberto D’Amico)… Artista di, a e per Venezia, con la laguna stretta addosso, quel magico liquido vestito per tutte le stagioni, per le nebbie d’autunno, il sole d’afa dell’estate, le rabbiose sbuffate dello scirocco, le gelide irruzioni della bora.

Un’artista lagunare e non solo perché qui è nata, vive e lavora, ma perché ci crede e ci spera e lo manifesta con il suo fare, la sua energia, la grinta, il suo vivere quotidianamente assieme alla città e alla sua gente. Claudia si è diplomata all’Accademia di Belle Arti di Venezia, ha curiosato tra i vetri e le stampe d’arte del laboratorio di Claudio Grassetti e da qui è approdata al Centro Internazionale della Grafica per apprendere, alla scuola di Silvano Gosparini e Nicola Sena, l’arte della fabbricazione della carta e della rilegatura e le tecniche incisorie. Tra le sue esperienze espositive extra lagunari Hangzhou (Cina), Poznan (Polonia) e Sharm el Sheik (Egitto) dove ha partecipato alla prima Biennale d’Arte sul Mar Rosso.

 

Il territorio di ricerca che più la affascina è quello della figura umana al centro della sua pittura sin dagli esordi ed espresso anche su grandi tele. Corpi, volti, gesti intesi come espressioni della vita quotidiana, fatta di lavoro e sentimenti, di stati d’animo, emozioni, passioni tradotte in corpose mobili pennellate che sfuggono ai confini del figurativo per “sciogliersi” alla gestualità del colore. Ma la sua curiosità, la sua voglia di esplorare, la portano anche nel campo della grafica, della manipolazione fotografica e ad avventurarsi nel paesaggio lagunare attraverso l’utilizzo, nelle opere più recenti, di supporti di legno. E qui entra in campo la Claudia delle barche, la poppiera della Canottieri Giudecca e la Claudia aspirante maestra d’ascia che trascorre otto ore al giorno nel cantiere giudecchino di Roberto Dei Rossi per apprendere i segreti dell’arte di costruire imbarcazioni. E’ da questo squero che escono, pezzo a pezzo, (non trafugati…) i suoi legni, vecchi paioli ed altri residuati di barche che Claudia traferisce amorevolmente nel suo studio per rigenerarli e riscriverli con la pittura. Legni usati, stagionati, doloranti, sopravvissuti che nel piccolo studio della Giudecca trovano un altro utilizzo e significato, nel rispetto della loro piccola storia marinara e di cantiere. È una Venezia in barca quella che si delinea e si distende su queste consunte superfici, in questi appunti orizzontali, in questi scarni essenziali scorci della laguna che le è più vicina ed amica, quella tra il canale della Giudecca e le isole di Sacca Sessola, delle Grazie , di Poveglia…Isole, orizzonti e barche da incidere, graffiare, disegnare o colorare seguendo le fessure, le imperfezioni, il vissuto del legno, i ricordi d’acqua e di vernice. Una laguna semplice e vera, vista con l’occhio sapiente di chi conosce e frequenta i luoghi, con l’immediatezza del segno, con la sensibilità di chi sa raccogliere un fremito di luce, una tinta, un’atmosfera e la imprime sul corpo di un legno amico. Ma non è solo il legno a ospitare la sua voglia di paesaggio: possono essere anche delle scatole di cartone sulle quali reinventare una Punta della Dogana con un “redentore” di segni, graffi, macchie, pennellate, tracce di smalti, colate di bitume e tocchi d’oro e reinterpretare un Mulino Stucky con un collage di carte. Legno, cartone ed anche la vecchia cara tela dove continuare a raccontare la sua Giudecca, quella più interna e intima e quella più esterna e visibile, lasciando scorrere il suo scattante gesto per spezzare il paesaggio in tasselli-tessere di colore o in pennellate di luce in movimento, in un vibrante mix cromatico, in note che si accostano e si sovrappongono alla cerca, più che del reale, della matericità e delle emozioni dei luoghi.

 

Claudia della Giudecca, della laguna, dello squero, dello studio, Claudia che partecipa, che sogna una Venezia di barche e di artisti (e di artisti in barca…), che dipinge con felicità e agilità, sempre pronta a percorrere nuove strade, a reinventarsi, a sperimentare altre “rappresentazioni” per la sua irrequieta quotidianità lagunare; con convinzione, con il suo far pittura ormai maturo nella sua vagante-vogante-volante libertà di interpretare e condividere il visibile e l’invisibile, la solidità e la leggerezza di una città d’acqua e di luce.

Emanuele Horodniceanu

Ho avuto modo di vedere un disegno, che definirei predittivo, di Claudia Corò di quando aveva tre o quattro anni. Diceva: diventerai artista!

La profezia si è avverata. L’antico naturale talento grafico si è trasformato in abilità tecnica attuale ed in un’apprezzabile sensibilità artistica che si dispiega in proposte pittoriche affatto scontate. Tenuto conto del naturale sviluppo del grafismo infantile, mi sono chiesto come le “cose” siano cambiate nel corso del tempo, vale a dire quale direzione avesse preso l’urgenza espressiva della nostra artista così come questa è coglibile nella sua attuale produzione pittorica.

Il suo disegno di bambina è intrigante, libero, deciso, ben composto e ricco di particolari con soluzioni grafiche notevoli in relazione alla sua età. Il tratto si dimostra sicuro, continuo e ben eseguito in relazione alle premesse progettuali della bambina. Il tono psicologico di base, così come questo è stato tradotto nel supporto grafico, pare orientato alla sobrietà e all’affermatività. Non mancano delle tracce di un intimismo poetico capace di fare la differenza tra una buona realizzazione pittorica ed un accidentale abbozzo di produzione artistica.

 

Nel vedere i lavori attuali di Claudia ho avuto modo di riflettere attorno all’evoluzione di quel bel composto segno antico messo al servizio di una realizzazione grafica orientata alla serenità e garantita da una festosa fantasia. Ora il segno si è fatto più tormentato ed irrequieto. Spezzettato, a volte invischiato in nervosi ghirigori. Il tratto si traduce spesso in vere e proprie rasoiate, che raccontano di memorie e verità attuali non ancora solubilizzate del tutto nel prodotto artistico. Ciò per dire che, soprattutto nella sua produzione grafica, si colgono i riverberi di una tensione psicologica reclamante una soluzione esistenziale definitiva. Nei suoi dipinti le cose cambiano. Il colore ha il sopravvento sul gesto grafico restituendo alla tela dei toni meno drammatici e aperti al compromesso emozionale.

 

Ciò per dire che la formazione tecnica di Claudia si fa sentire e, quando in un dipinto desidera esternare i suoi sentimenti, è in grado di arginare l’impulsività con sapienti gesti pittorici. Il riferimento è soprattutto ai contorni delle sue figure umane, le quali non risultano mai banali o decorative. Prendono forma così delle immagini atmosferiche che possono lambire i contorni della gradevolezza. Alcuni suoi ritratti ci indicano questa direzione. Delle seducenti “venezie” pure. In questi lavori si colgono i riflessi della sua intima delicatezza e della sua sensibilità, la quale la rende attenta ai segnali deboli riflessi dalle odierne conflittualità sociali.

 

Le sue tele, come anticipato, riflettono spesso delle declinazioni dell’anima orientate alla soluzione drammatica. Mi vengono in mente delle sue incisioni relative a dei tragici naufragi, a degli annegamenti che anticipavano il dramma che il nostro generoso Mediterraneo ha portato direttamente nei cuori di molte famiglie, e di riflesso, in ognuno di noi. Ancor più mi vengono in mente i suoi “incubi notturni” ovvero le sue tiranniche fantasie. Ed è proprio in questi lavori che tendo a riconoscere il massimo livello creativo e la più elevata cifra stilistica che Claudia riesce a restituirci.

Ruggero Sicurelli; Psicologo Antropologo Arteterapeuta

Venezia è una chimera, una sfida per qualsiasi artista che vi arrivi da lontano, figuriamoci per chi ci abita. Claudia Corò è una giovane donna estrosa e indipendente, mai scontata e sempre in movimento, fisico e mentale.

A Venezia ci vive da sempre, ci abita da quando è nata e la conosce come se fosse una grande amica un po’ scontrosa: a volte ti sorride a volte ti fa il broncio. La sua è un’arte che fa i conti a modo suo con la città dei Dogi: la prende e la fa sua, dipingendola, fotografandola, mostrandola in una maniera del tutto particolare. La stravolge col colore quando la dipinge su tela: restano i contorni indefiniti di San Marco o di altri luoghi della laguna, ma il colore riesce a trasfigurare la rappresentazione portandola su un piano completamente diverso rispetto a quello delle rappresentazioni turistiche. Quando invece la disegna su carta o addirittura la incide su legno, il fascino che dona a questa città appartiene ad altri tempi, sembra quasi di tornare indietro negli anni e poter vedere nezia attraverso occhi nostalgici. Nelle fotografie in bianco e nero gli scorci si fanno atoni e l’atmosfera buia se non fosse per degli sprazzi di colore sopra alle foto che fanno risaltare un particolare piuttosto che un altro o semplicemente colpiscono l’osservatore e lo inducono a scovare quello che c’è dentro l’opera, aldilà della rappresentazione.

 

Claudia Corò conosce l’arte troppo bene per fermarsi a questo e la sua ricerca va oltre mostrando una certa maestria nel padroneggiare la tecnica del disegno figurativo. I soggetti possono essere persone a lei care o solamente torsioni di busti, gambe e braccia: flessuosità perse nello spazio e fissate dal colore. Lei stessa ammette di aver studiato molto bene la tecnica del disegno e di amare il corpo come espressione d’arte. Le sue ultime opere su carta navale affascinano lo sguardo per la flessuosità delle pose e la decisione del segno grafico. Il colore rende i corpi delle creature soprannaturali, acquatiche perché in fin dei conti lo sfondo è pur sempre una carta nautica dall’aspetto invecchiato, usato, stropicciato. In altre opere è chiaro il richiamo al passato, alle statue dei putti settecenteschi acefali, un omaggio all’arte moderna retaggio di un talento nato dallo studio e non dall’improvvisazione. L’uso del colore varia di volta in volta, dallo sfumato al colore che cola dalla tela, mantenendo il principio della coerenza con l’opera rappresentata. Predomina dove è presente ed è decisamente connotativo.

 

Per conoscerla basta connettersi al suo sito www.claudiart.net o andarla a trovare in quel di Venezia, nell’isola della Giudecca dove custodisce le sue opere nel suo studio.

Arianna Marchesan